Regole ed eccezioni delle collaborazioni sportive e del cumulo pensione
Previdenza - 27 Mar 2025
La legge vieta il cumulo per la pensione anticipata ma i compensi sportivi dilettantistici sotto i 5.000 euro possono essere esclusi. Lo ha stabilito la Corte dei Conti del Veneto in una sentenza di gennaio 2025 rispondendo indirettamente a numerosi casi verificatisi lo scorso autunno in cui INPS aveva richiesto la restituzione delle pensioni con quota 100 già erogate ad arbitri e altri collaboratori sportivi. Vediamo allora la situazione normativa e la risposta fornita dalla giurisprudenza, sin dal 2022.
Divieto di cumulo e riclassificazione del lavoro sportivo
Le pensioni anticipate, come la Quota 100, sono soggette a un divieto di cumulo con i redditi da lavoro previsto dall’art. 14, comma 3, del D.L. 4/2019. Questo significa che chi ha scelto di andare in pensione prima dell’età di vecchiaia non può percepire altri redditi da lavoro dipendente o autonomo fino al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria (attualmente fissata a 67 anni). Tuttavia, esiste un’importante eccezione che consente di cumulare la pensione con redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale fino a un massimo di 5.000 euro lordi annui.
Con l’introduzione della riforma dello sport (D.lgs 36/2021), in vigore dal 1° luglio 2023, che ha trasformato profondamente il trattamento fiscale dei compensi sportivi creando una sorta di cortocircuito normativo. La nuova normativa ha ridefinito la classificazione, escludendo i compensi sportivi dalla categoria dei redditi diversi e ricollocandoli, a seconda della tipologia di inquadramento, tra i redditi da lavoro dipendente o assimilato o autonomo con esenzione fiscale fino a 15mila euro.
Il caso: richiesta di restituzione della pensione del collaboratore sportivo
il caso recentemente esaminato dalla Corte dei Conti riguarda proprio questa situazione: un pensionato “Quota 100” aveva percepito compensi di circa 3.600 euro per un’attività di allenatore presso un’associazione sportiva dilettantistica. L’INPS gli aveva chiesto la restituzione di quasi 30.000 euro di pensione, ritenendo che questi redditi violassero il divieto di cumulo.
La Corte dei Conti, tuttavia, ha stabilito che i compensi sportivi dilettantistici sotto i 5.000 euro non rientrano nel divieto, perché:
- non costituiscono un’attività lavorativa stabile né un rientro nel mercato del lavoro;
- non comportano obblighi previdenziali, proprio perché inferiori alla soglia di contribuzione;
- hanno una funzione sociale e dilettantistica, e non si possono equiparare a un normale rapporto di lavoro.
Cumulo lavoro sportivo e motivazioni della sentenza
La sentenza della Corte dei conti veneta si rifa ad una pronuncia della Corte Costituzionale, (sentenza n. 234/2022) che ha chiarito che il divieto di cumulo ha l’obiettivo di evitare che chi accede alla pensione anticipata possa continuare a lavorare in modo strutturale, incidendo sul sistema previdenziale e sottraendo opportunità ai giovani. Tuttavia, ha anche sottolineato che le attività di lavoro autonomo occasionale con redditi limitati (sotto i 5.000 euro) non violano questo principio.
Seguendo questo orientamento, la Corte dei Conti ha dunque dato ragione al pensionato, stabilendo che i compensi sportivi dilettantistici non possono essere considerati alla stregua di un lavoro continuativo. Di conseguenza, l’INPS non può richiedere la restituzione delle somme percepite come pensione.
Chi può beneficiare di questa eccezione
L’interpretazione della Corte non si applica solo agli allenatori sportivi, ma in generale a chi svolge attività sportive dilettantistiche con compensi inferiori a 5.000 euro annui, come:
- allenatori di squadre dilettantistiche;
- istruttori di discipline sportive in associazioni senza scopo di lucro;
- arbitri e giudici di gara;
- atleti dilettanti che ricevono un rimborso spese;
- altri tipi di collaborazione.
Si può concludere quindi che anche per chi è in pensione con Quota 100 (o 102 o 103) e collabora con un’associazione sportiva dilettantistica, può percepire compensi fino a 5.000 euro annui senza perdere la pensione in quanto queste attività non rappresentano un rientro stabile nel mondo del lavoro.
ATTENZIONE
L’interpretazione della giurisprudenza non è comunque stabile e in assenza di specifiche definizioni normative o di una aperto recepimento da parte dell’istituto di previdenza , è purtroppo sempre possibile l’instaurarsi di contenziosi che possono risultare costosi.